sabato 12 marzo 2011

Ghino il ghiro

In un paese lontano viveva un ghiro di nome Ghino. Passava la sua vita a fare ciò che fanno tutti i ghiri del mondo: essendo un roditore notturno dormiva di giorno e la notte andava alla ricerca di cibo per saziare la sua fame. Non aveva ancora pensato ad accasarsi, tuttavia aveva una tana bella, pulita e piuttosto ampia. Quell’anno, a causa del maltempo, in tutto il paese vi era una terribile penuria di cibo: infatti ce n’era poco per tutti sia uomini che animali. Vanamente la notte vagava per i campi alla ricerca di qualcosa da rosicchiare; in genere si accontentava di radici, qualche insetto o a volte nulla. I pochi alberi di noce vicini alla sua tana avevano i rami totalmente vuoti. Un querceto poco lontano non aveva più ghiande: buona parte di esse venne raccolta dai contadini per saziare i maiali da loro allevati, quelle poche cadute a terra furono divorate da affamatissimi cinghiali selvatici.

Ghino non si era mai allontanato dalla sua terra, tuttavia, in un tardo pomeriggio autunnale, era quasi buio, per la fame, pensò di superare il torrentello che era il limite del mondo a lui noto. Chissà cosa ci poteva essere al di là dell’acqua! E così si tuffò e a nuoto, a fatica, raggiunse dopo un po’ la riva che aveva dirimpetto. Era forse un altro mondo? Ma no! Tutto appariva uguale! C’erano campi e alberi. Subito, ma con cautela, iniziò la sua avventura nel nuovo mondo alla ricerca di cibo. Intanto si era fatto buio. Con la sua vista acutissima notò poco lontano da esso molte piante di quercia ma esse erano diverse da quelle che vi erano nel suo mondo infatti non avevano più la corteccia. Aveva sentito parlare di querce da cui si ricavava il sughero ma che non avevano ghiande. Si accorse anche che lì vicino vi era una segheria e un deposito. Peccato! Decise di andare ancora avanti perché le sue budella si lamentavano in modo terrificante. Tutt’assieme notò un rapido movimento e un impercettibile rumore che si era generato esattamente nell’unione di due enormi rami di una sughera. Perbacco! Vi era un nido di un qualche uccello. Ahimè era il rifugio di un gheppio il peggiore pennuto che potesse capitare in un momento simile, un rapace continuamente affamato. Il gheppio notato il ghiro pensò di avere sottomano un bocconcino delizioso con cui fare bel banchetto, una ghiottoneria da inghiottire in un sol boccone. Ghino si accorse del pericolo e corse verso la segheria e in un angolo cercò di fare una buca nella ghiaia ma non fu così veloce quanto il gheppio ad arrivare su di esso e a ghermirlo. Il piccolo ghiro ebbe una paura terribile, tuttavia non perse la calma.

…. Infatti la calma fu la salvezza di Ghino. Si guardarono a lungo, nessuno dei due si muoveva: uno attendeva la morte, il rapace invece era ormai convinto di essersi guadagnato un magnifico boccone. Appena il gheppio fece la mossa per uccidere il povero ghiro col suo becco adunco, si sentì un lieve rumore e un’unghiata lo colpì. Una volpe, affamata anch’essa, infatti, arrivata quatta quatta, aveva inferto una bella botta con la sua zampa al gheppio che perse i sensi, il poverino finì addentato dalla volpe che scomparve nelle campagne. A causa della lite Ghino fu mollato dalle unghie del rapace e fuggì a zampe levate ripercorrendo come un fulmine il sentiero che passava vicino la sughera fino a raggiungere il torrentello. Era il momento di rifare il bagno. Si rituffò in acqua e guadagnò a nuoto la riva del suo vecchio mondo. Accidenti che fatica e … che paura! Era già quasi l’alba. Felice, rivide i luoghi a lui cari: il querceto, i campi, la campagna, la sua tana dove poté riposare fino all’indomani.

Alcuni giorni dopo, era pomeriggio, sognava di mangiare e di saziarsi, quando, ritornato in sé, sentì un vocìo lontano: voci umane! Fu incuriosito ma l’abbaiare di un cane lo rassicurò. Erano tornati! La villetta vicina al centenario albero di magnolia era di nuovo abitata e forse, come ogni anno, per un periodo di vacanza in occasione del ponte dell’Immacolata. Ghino si affacciò dalla sua tana e vide i bambini giocare felici sul manto d’erba e la loro cagnolina Agnese che li rincorreva abbaiando. Appena fu notte Ghino andò a rivedere la sua amica Agnese nella legnaia, dov’era la sua cuccia, calda e confortevole. Lì Agnese divise la sua cena col piccolo ghiro: pane raffermo inzuppato in sugo d’agnello. I due si raccontarono le loro avventure sino a tarda notte e così avvenne per diverse sere. Qualche giorno dopo però Ghino, ormai ben rimpinguato e in buona salute si congedò dalla sua amica con un arrivederci. In quei giorni l’aria si era fatta molto rigida e l’inverno era alle porte: era arrivato per lui il momento di andare in letargo e il suo sonno sarebbe durato molto a lungo. Si salutarono giurando di rivedersi quando l’aria fosse ritornata calda, i campi ricolmi di fiori e le gemme vive sui rami.

a.a.

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